Saulo Ribeiro, o dell’arte (occidentale) della guerra.

Scrivere di Saulo Ribeiro è un’impresa, se uno si pone l’obbiettivo, piuttosto impegnativo persino per un saggista esperto, di farlo con un minimo di originalità.
La statura, sportiva, dell’uomo rende del tutto impossibile non sbattere contro una sequela di luoghi comuni ed ovvietà, tutti già abbondantemente sfruttati ma, non per questo, meno veri.
Sfoltiamone alcuni. Nato Saulo Mendonca Ribeiro Filho, a Manaus nel cuore dell’Amazzonia , il 2 di Luglio del 1974, ha iniziato il suo percorso nelle discipline lottatorie molto presto, da bambino, ma non già nel jiu jitsu quanto piuttosto nel judo, disciplina che in Brasile gode di tradizione antica e consolidata.
Fu al fine di ottenere una migliore preparazione nel combattimento a terra (ne waza) che il giovane , quindicenne, iniziò ad allenarsi nel jiu jitsu sotto la guida di Fabio Monteiro, nell’accademia di quest’ultimo a Manaus.

La passione accesa da quello che negli intendimenti avrebbe dovuto essere solo un allenamento accessorio si rivelò bruciante, al punto da convincere un Saulo appena diciassettene a trasferirsi a fine del 1991, in quel di Rio de Janeiro presso la prestigiosa Gracie Humaita dove, seguito da Royler Gracie, il Nostro ottenne la propria cintura nera quattro anni più tardi – il 27 Novembre del 1995- dopo aver vinto nella divisione di peso Leve ( -76kg) il proprio primo titolo nazionale brasiliano.

Da quel momento in poi, Saulo Ribeiro non si e’ più fermato, inanellando quella strabiliante serie di trionfi che lo hanno portato a dominare lo sport a cavallo del cambio di millennio ed a segnare indelebilmente l’evoluzione dell’Arte. Serie, tra l’altro, che ancora è lungi dall’essersi conclusa, volendo aggiungere ai predetti titoli quelli ottenuti dal dominio instaurato negli ultimi quattro anni sul mondiale Master/Senior.

Eccone alcuni, solo tra i maggiori:

-sei titoli mondiali, ottenuti in cinque diverse categorie di peso (record)

-un panamericano (assoluto e categoria)

-due ADCC

-quattro titoli mondiali Master/Senior

L’uomo non è rimasto davvero con le mani in mano!

La tecnologia mi ha permesso di assistere ad una grande quantità dei combattimenti del maggiore dei fratelli Ribeiro ( Alexandre, di sei anni piu’ giovane, meriterebbe una trattazione a parte) e, in breve, posso affermare di essere diventato un estimatore del suo approccio tecnico all’arte lottatoria, tuttavia ciò che mi ha più spesso colpito e che continua tuttora a colpirmi ogni volta che assisto ad uno dei combattimenti che lo vedono impegnato è la raffinatezza, tecnica ma anche e soprattutto concettuale, alla base del gioco di Saulo.

L’affermazione stupirà i più, specie coloro che sono abituati a vedere nel Nostro un portabandiera di quella certa idea del jiu jitsu che vorrebbe nello schiaccia&spingi il vangelo definitivo dell’Arte.

Non vi è alcun dubbio che si stia parlando di uno dei più feroci passatori mai espressi dall’Arte Suave, in grado di schiantare al suolo fior di cinture nere, dominando ogni aspetto del combattimento ed è appunto a questo aspetto cui mi riferisco quando parlo di raffinatezza. Al dominio.

Il dominio del combattimento che proviene da una profonda conoscenza delle sue diverse fasi, in piedi ed a terra. Mi riferisco alla comprensione di concetti non esattamente chiari a tutti come iniziativa e vantaggio.

Il gioco di Saulo inizia in piedi dove, grazie alle proprie abilità di judoka allenate ed affinate nel tempo, il più delle volte riesce a portare il combattimento nelle situazioni che gli sono più congeniali (iniziativa): kouchi gari, morote seoi, kata guruma ed uchimata solo per nominare le tecniche piu’ frequentemente usate, che l’hanno reso uno dei più efficaci proiettatori nell’ambito delle competizioni di jiu jitsu.

Una volta ottenuta la proiezione od un atterramento in posizione favorevole, si sviluppa il gioco vero e proprio; quell’avanzare continuo fatto dall’alternanza di pressione e stabilita’, finte calcolate e repentini cambi di direzione in cerca del punto debole nella difesa avversaria, con l’obbiettivo unico di acquisire il vantaggio decisivo sull’avversario, vale a dire la possibilità di acquisire un controllo tale da poter applicare una tecnica di sottomissione senza che la controparte possa sviluppare un qualunque genere di controtecnica.

Questo schema di continuo, disciplinato attacco difficilmente può essere sostenuto da un avversario sulla difensiva stretta e richiede, per la propria piena attuazione, tanto una straordinaria precisione nell’esecuzione, quanto una chiara percezione dello sviluppo del combattimento (“situation awareness”, è il termine di moda tra gli studiosi di strategia) e, ultimo e forse più importante, una mentalità decisamente offensiva. Una mentalità tesa alla ricerca di ogni occasione nell’acquisizione dell’iniziativa, iniziativa che e’ un prerequisito assolutamente irrinunciabile nell’attuazione di un simile gioco.

Questi concetti, estrapolati dalla semplice osservazione del gioco di un lottatore ultraquarantenne e tutt’ora in piena attività -ad ulteriore testimonianza della loro efficacia è l’indipendenza di essi dalla condizione atletica, ormai non piu’ certo quella dei tempi migliori- possono essere ritrovati nella loro versione integrale nel “Della Guerra” di von Clausewitz, un saggio scritto alla meta’ dell’800 da un generale prussiano che, studiando le campagne di Napoleone, aveva inteso di distillarne la scienza militare in un manuale ad uso e consumo delle nuove generazioni di strateghi tedeschi.

L’importanza dell’assunzione e del mantenimento dell’iniziativa tramite una mentalità risolutamente aggressiva, la centralità della battaglia come evento risolutivo del combattimento (tra stati e tra uomini), l’acquisizione del vantaggio decisivo tramite un mix di manovra e scontro diretto, il tutto volto alla finalizzazione o alla resa senza condizioni dell’avversario. Chi ha letto Clausewitz o conosce anche solo nelle grandi linee le campagne di Napoleone -che possono essere viste come la summa dell’intera arte strategica occidentale precedente ad egli- non potrà fallire di riconoscere la centralità di questi elementi, elementi che sono ben presenti nella lotta di Saulo Ribeiro.

Mica male, per un semplice lottatore!

Ad oggi, Saulo Ribeiro è cintura nera con cinque strisce e porta avanti il proprio progetto di divulgazione dell’Arte Soave nelle numerose accademie, fondate di concerto col fratello Xande e situate perlopiù negli USA, dimostrandosi un allenatore non meno abile del competitore che è stato e che è, con molti campioni cresciuti sotto i suoi insegnamenti (Raphael Lovato Jr.) e svariate decine di cinture nere attribuite.

Più di tutto, Ribeiro è uno dei più convinti esponenti di una certa idea del jiu jitsu volta all’accrescimento ed all’ammaestramento morale, oltre che fisico, del lottatore, il tutto in stretta relazione agli ideali di onore, lealtà, rispetto enucleati nella tradizione giapponese specie dei periodi Azuchi-Momoyama ed Edo, da figure come Miyamoto Musashi o Yamamoto Tsunetomo, solo per citare due nomi tra i più famosi.

Si può essere più o meno d’accordo con tale visione -ad esempio chi scrive, per quanto chiaramente un estimatore dei fratelli Ribeiro, non lo è del tutto-, ma il fine, specie in un epoca che manca paurosamente di riferimenti di ordine morale, non può che essere riconosciuto come nobile.

Vive l’Empereur!

Giuseppe Cecchi